Sono sempre più le persone che, avendo a disposizione un po’ di spazio, decidono di destinare una parte più o meno grande del giardino alla coltivazione di ortaggi e/o piante aromatiche. La realizzazione di un orto familiare è facile ma richiede tempo e passione, requisiti indispensabili per poter produrre e assaporare tutto l'anno ortaggi naturali e soprattutto controllati in ogni fase. Il costo è molto contenuto, infatti è possibile acquistare piantine di ortaggi di stagione pronte da trapiantare anche a meno di 0,35 € l'una o, se si preferisce, acquistare bustine di semi che però dovranno essere messe in vasi e tenute in una piccola serra (o ambiente un minimo controllato), per poi essere successivamente poste a dimora al momento giusto. Un piccolo orto domestico, oltre al piacere personale, riesce a fornire, se correttamente impostato, una notevole produzione di ortaggi ed erbe aromatiche per la cucina, coltivati magari senza l’ausilio di pesticidi e che possono essere consumati freschi.
Blog dedicato all'innovazione, alla tecnologia applicata all'agricoltura, all'orto, alla filiera corta, alla Supply Chain, al digitale e al futuro....
giovedì 29 febbraio 2024
Orto familiare: alcuni piccoli consigli
giovedì 30 novembre 2023
Orto sul terrazzo: alcuni piccoli consigli
La coltivazione dell’orto sta diventando uno degli hobby più apprezzati. Di recente questa passione si sta diffondendo sempre di più anche fra coloro che, vivendo in un appartamento in città, decidono di coltivare verdure e piante officinali sul proprio balcone. L’interesse per l’auto-produzione di ortaggi “nostrani” sta diventando sempre di più una moda, anche per il desiderio di consumare cibi più naturali, senza dimenticare i prezzi ormai esorbitanti della verdura. Unico inconveniente non da poco è l’inquinamento dell’aria delle nostre città: pertanto, visto che le verdure vengono semplicemente lavate con acqua o al massimo con bicarbonato di sodio, meglio sarebbe prevenire l’accumulo di sostanze inquinanti su foglie e frutti coprendoli con teli sottili di tessuto non tessuto (TNT), in grado di filtrare gran parte delle sostanze nocive, lasciando filtrare invece acqua e raggi solari.
L’attrezzatura necessaria sarà minore rispetto ad un orto normale: quella minima dovrà comprendere i guanti, una zappetta e una piccola pala, uno o più contenitori in plastica, un annaffiatoio.
domenica 14 novembre 2021
Agricoltura e innovazione: internet delle cose (IoT)
Negli ultimi anni compreso lo scorso 2020, nonostante l’emergenza pandemica che ha travolto il paese, le tecnologie digitali hanno avuto una forte diffusione anche nel settore agricolo. L’Agricoltura 4.0 sta entrando sempre più diffusamente nella gestione delle aziende agricole lungo tutto la filiera attraverso varie modalità fra cui l’Internet of Things (IoT), l’ottimizzazione dei Big Data, l’Intelligenza Artificiale e la robotica, nel tentativo di efficientare sempre di più le varie attività che partono dalla produzione fino ad arrivare alla commercializzazione.
IOT - Internet of Things
Internet delle cose (IdC o IoT, acronimo dell'inglese Internet of things), nelle telecomunicazioni è un neologismo riferito all'estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Introdotto da Kevin Ashton, cofondatore e direttore esecutivo di Auto-ID Center (consorzio di ricerca con sede al MIT), durante una presentazione presso Procter & Gamble nel 1999, il concetto fu in seguito sviluppato dall'agenzia di ricerca Gartner. (Wikipedia)
In sostanza IOT rappresenta una possibile evoluzione nell'utilizzo della rete internet: gli oggetti (le "cose") si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su sé stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri; in teoria tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento web.
Il suffisso "cosa /oggetto" si riferisce a categorie quali i dispositivi, le apparecchiature, gli impianti e sistemi, i materiali e le macchine, oggetti che connessi alla base dell’Internet delle cose vengono definiti smart objects (oggetti intelligenti) e si contraddistinguono per alcune proprietà o funzionalità che sono: l’identificazione, la connessione, la localizzazione e la capacità di elaborare dati e di interagire con l’ambiente esterno.
L'obiettivo dell'IoT è fare in modo che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando così un'identità elettronica alle cose e ai luoghi dell'ambiente fisico, per esempio gli oggetti e i luoghi in cui saranno presenti le etichette Identificazione a radio frequenza (Rfid) o Codici QR, comunicheranno informazioni in rete agli smartphone e a tutti i dispositivi elettronici in grado di “leggere” queste indicazioni.
I campi di applicabilità sono molteplici, si va dalle applicazioni industriali (processi produttivi), alla logistica, all'infomobilità fino ad arrivare al settore primario: l'agricoltura.
IOT in agricoltura
Per quanto riguarda l’agricoltura, al momento la tecnologia IoT è in una fase di crescita importante, perché consentirà alle aziende di procedere verso un cambio tecnologico e di mentalità fondamentale per il futuro delle stesse aziende. Esempi positivi nell’utilizzo di queste tecniche sono la gestione dei campi e degli allevamenti, dove attraverso sensori IoT si può collegare costantemente ed in modo continuo i vari processi sia per la gestione del bestiame che per la conduzione dei campi.
Negli allevamenti questi sistemi consentono di avere un monitoraggio preciso sulla distribuzione del mangime per gli animali e la produzione di latte, in modo da poter identificare con precisione e accuratezza, possibili cambiamenti in termini di salute, performances e status riproduttivo.
A livello di campo, molte aziende a conduzione seminativo, utilizzano IoT per la gestione dei fertilizzanti e sistemi di irrigazioni attraverso dei sensori, i quali forniscono una serie di dati utili sulle colture, consentendo un’analisi precisa e immediata della situazione, facendo risparmiare tempo e denaro sul lungo periodo. Capitolo molto importante è la sicurezza in fase di stoccaggio, perché silos e ascensori a grani, talvolta possono essere luoghi pericolosi con nastri trasportatori che si potrebbero bloccare, così come rischiare di incendiarsi, in questi casi l’utilizzo di sensori IoT per tenere traccia di potenziali pericoli, sarà fondamentale nella prevenzione attraverso varie modalità di allarme.
Considerando il crescente interesse dell’opinione pubblica nella salvaguardia della qualità dell’agroecosistema, per mantenere e rafforzare un legame tra le peculiarità di un alimento e il luogo dove esso viene prodotto, è possibile tramite innovativi sensori presenti sul terreno in coltivazione, rilevare parametri fisici di aria, acqua e suolo, in modo tale da valutare la qualità dell’ecosistema di produzione e quella dei prodotti da esso derivati, per esempio in termini di minor contenuto di agenti contaminanti. Attraverso l’utilizzo di questi protocolli, sarà possibile certificare la qualità ambientale su diversa scala: aziendale o parcellare, facendo seguire procedure di analisi sul microclima in grado di identificare potenziali condizioni di criticità ambientale, così da consentire la rintracciabilità geografica di materie prime e prodotti, monitorando e gestendo allo stesso tempo possibili emergenze.
I principali ostacoli
Le principali difficoltà nell’utilizzo dell’IoT in agricoltura sono sostanzialmente legate al costo dei sensori, a problemi infrastrutturali di reti non ancora così avanzate da consentire un collegamento tra le parti rapido e funzionale, una cultura tecnologica degli agricoltori non ancora diffusa dovuta per lo più ad una diffidenza nel cambio di abitudini.
Per far sì che l’internet delle cose come già per altri settori possa diventare uno strumento a valore aggiunto per le aziende agricole, sarà necessario un abbassamento dei costi dei sensori cercando allo stesso tempo di fornire un supporto agli imprenditori agricoli che sia in grado di sostenerli in quel salto tecnologico sempre più necessario.
domenica 15 agosto 2021
Il pesce azzurro
Solitamente vengono definiti pesci azzurri alcune specie di animali acquatici caratterizzati da colorazione dorsale tendente spesso al blu, in qualche caso verde e da colorazione ventrale argentea.
La denominazione di "pesce azzurro" non si riferisce ad un gruppo scientificamente definito di specie ittiche, ma viene utilizzata commercialmente per indicare alcune varietà di pesci, generalmente di piccola pezzatura, di varia forma e sfumature di colorazione, il cui costo è solitamente ridotto per la grande quantità di pescato.
Biologicamente parlando il pesce azzurro appartiene a specie a vita pelagica, con carni grasse e spesso ricche di oli.
Le varietà di pesce azzurro più importanti e presenti sul mercato sono:
- sardina (Sardina pilchardus),
- aringa (Clupea harengus),
- alice o acciuga (Engraulis encrasicholus),
- sgombro (Scomber scombrus),
- aguglia (Belone belone),
- spratto o papalina (Sprattus sprattus),
- alaccia (Sardinella aurita),
- lanzardo (Scomber colias),
- costardella (Scomberesox saurus)
- suro (o sugarello) (Trachurus trachurus)
- pesce ciabola o spatola (Lepidopus caudatus)
Nelle coste atlantiche americane, vive un pesce chiamato azzurro per via del suo colorito turchino; questo esemplare, che nulla ha da spartire con la categoria, è noto per essere un vorace divoratore.
Qualità nutrizionali
I pesci azzurri sul mercato italico sono reperibili a prezzi contenuti, inoltre le specie che popolano i mari italiani hanno carni che possiedono qualità organolettiche e salutistiche molto importanti. Il contenuto proteico è buono ed i grassi, oltre ad insaporire le carni, sono qualitativamente eccezionali. Nella categoria del pesce azzurro rientrano alcuni dei pesci più ricchi in assoluto di omega-tre; questi grassi, essenziali per il nostro organismo, oltre ad essere molto digeribili, proteggono cuore, vasi e cervello prevenendo malattie come l'Alzheimer, l'aterosclerosi e l'infarto.
I piatti preparati con queste specie sono spesso considerati "cucina povera", ma il pesce azzurro è molto apprezzato in cucina proprio per le qualità nutrizionali delle sue carni, ed anche per questo motivo il consumo di questo alimento viene spesso consigliato nelle diete nelle quali sono da evitare i grassi saturi, presenti in altre specie animali. Essendo, inoltre, un alimento ricco di calcio (350 mg di calcio per 100 g di alimento) è consigliato per combattere i processi di decalcificazione ossea.
Queste specie ittiche sono anche ricche di minerali come il calcio, il fosforo, lo iodio ed il selenio; discreto anche il contenuto vitaminico ed in particolare di niacina, vit. B12, vit. D e vit. E.
Gli esperti raccomandano di mangiare pesce azzurro almeno due volte alla settimana in modo da soddisfare il fabbisogno minimo di grassi essenziali.
Il mercato in Italia
In Italia il mercato del pesce azzurro si è sviluppato principalmente nei mercati ittici dell’Adriatico, infatti la commercializzazione di questo prodotto nelle Marche e nell’Emilia Romana è di circa 500 quintali, con un fatturato quotidiano di circa 250.000 euro e annuale di 40 milioni di euro.
Cifre importanti considerando il costo all’ingrosso del pesce azzurro nei mercati ittici di riferimento, circa 4 euro al chilo.*
Tutela del pescato
Molte delle specie di pescato, sono ormai a rischio, per esempio la popolazione delle acciughe nel Canale di Sicilia è ormai al limite del collasso, infatti secondo alcuni studi del 2012 della Commissione generale della pesca nel Mediterraneo (Cgpm) della Fao, negli ultimi tre anni in media si sono pescate circa 5.160 tonnellate di acciughe, quasi il doppio del massimo sostenibile (2.359 tonnellate). Lo stesso vale anche per le popolazioni di sardine, che risultano ormai essere in una situazione di stress degli stock.
La principale minaccia della stabilità delle riserve di pesce azzurro soprattutto nel Canale di Sicilia, è la pesca delle "volanti a coppia", ovvero la "pesca sperimentale" con reti a strascico semi pelagiche; modalità di pesca illegale denunciata anche dalle principali organizzazioni ambientaliste.
Le acque del canale di Sicilia sono sempre state pescose grazie soprattutto alle correnti dello "Stretto" che incontrano i bassifondi del Banco Avventura, tra la Sicilia e Tunisia, creando quei vortici che portano in superficie le acque di profondità; queste acque sono ricche di nutrienti e assieme alla luce del sole innescano la crescita del fitoplancton, cibo adatto per acciughe e sardine. Attualmente però, la scenario non è dei miglior, come viene indicato nelle conclusioni del Cgpm: «dato che lo stock è in questo momento sovra sfruttato, lo sforzo di pesca deve essere ridotto tramite un piano di gestione pluriennale fino a quando non ci saranno le prove di un recupero dello stock. Devono essere definite notevoli riduzioni delle catture assieme a riduzioni dello sforzo di pesca...».
In conseguenza a questa situazione, le principali organizzazioni ambientaliste, hanno elaborato un rapporto che analizza il problema e chiede con urgenza un piano di gestione capace di ridurre lo sforzo di pesca e le catture per scongiurare la perdita di una risorsa vitale per le comunità costiere siciliane come il pesce azzurro.
Per il futuro, si deve arrivare ad un piano sostenibile che a tutti dovrà richiedere misura e responsabilità, per esempio vietando di pescare pesce azzurro in inverno con le volanti o con qualunque altro sistema quando le catture sono spesso sotto taglia, oppure come richiesto anche dal Cgpm, applicare un piano di rinnovo delle "licenze di pesca sperimentale" ogni sei mesi invece che decennale come in passato.
Or al neo ministro delle Politiche agricole spetterà il compito di difendere i pesci e i pescatori che svolgono il loro lavoro onestamente e salvaguardare nel contempo la sostenibilità del comparto.
fonte comune di Pesaro: www.comune.pesaro.ps.it/asp/schede/allegati/5617/dati.pdf
giovedì 14 gennaio 2021
L’orto sinergico in inverno
L’orto sinergico basandosi sui principi dell’agricoltura sinergica, presuppone una metodologia agronomica applicabile esclusivamente in regime di agricoltura biologica, considerata ad oggi, l’ultima frontiera di questo tipo di agricoltura e praticata con delle tecniche che in “regime biologico” sono solo consigliate e auspicate ma non obbligatorie.
In sostanza il metodo sinergico si basa su tecniche agronomiche ed accorgimenti che mirano principalmente alla fertilità del suolo e alla conseguente miglior salute del sistema suolo-microrganismi-piante, esattamente come per l’orto biologico, ma con misure molto più incisive.
Fondamentale per questo tipo di orticoltura, è la definizione degli spazi, ossia la determinazione di passaggi che vengono normalmente lasciati nel terreno tra le file di ortaggi per consentirne la cura e la raccolta; con questa metodologia le distanze create, devono essere definitive, in modo da delimitare in maniera univoca, il percorso di camminamento e dove si coltiva, applicando ogni accortezza affinché non vi sia più bisogno di calpestare le zone coltivate. Per semplicità vengono chiamati “passaggi” i percorsi calpestabili e “bancali” o “aiuole” le zone coltivate.
Rincalzatura di pacciamatura in autunno
Gli ortaggi invernali
In inverno anche per l’orto sinergico, le colture orticole che vengono definite, devono tenere conto dell’adattabilità alle basse temperature dei singoli ortaggi; per esempio le piantine trapiantate a partire dalla fine dell’autunno con crescita e sviluppo in inverno ma con maturazione e raccolta in primavera sono: piselli, fave, cipolle e aglio. Oppure vi sono anche ortaggi trapiantati a partire dalla fine dell’estate con crescita e sviluppo in autunno ma con maturazione e raccolta in inverno; i più i portanti sono: cavoli, broccoli, verze, porri e finocchi.
Vi sono poi delle piante cosiddette perenni quali il rabarbaro e il carciofo che restano in campo tutto l’anno compreso l’inverno.
In generale durante i mesi freddi, le verdure a foglia verde, come i cavoli, le verze e i broccoli, resistendo maggiormente rispetto ad altri ortaggi alle temperature rigide, sono l’ideale per la coltivazione orticola, inoltre sono anche ricche di sapore e micronutrienti.
Consociazioni e lavorazioni invernali
L’attività invernale è ridotta al minimo, ma già da fine autunno (novembre) si potrebbero seminare per esempio la lattuga e il radicchio in coltura protetta sotto i teli.
Nel mese di dicembre è possibile invece, provvedere al riassetto e al consolidamento dei bancali (evitando il compattamento del terreno) e a strutturare con nuovo materiale pacciamante le aiuole per proteggere le recenti semine dal freddo, in quanto parte della vecchia pacciamatura si è degradata ed è diventata compost di superficie; è fondamentale poi fare copertura pacciamante anche sui passaggi fra i bancali, così da evitare alle aiuole di perdere umidità dalle sponde.
Successivamente nel mese di gennaio, laddove fosse possibile lavorare in coltura protetta, è il momento giusto per iniziare a seminare colture per la primavera estate come: il basilico, la melanzana, il pomodoro, ecc.…Tuttavia, considerando che nell’orto sinergico saranno ancora presenti altre colture invernali, le consociazioni sfavorevoli da evitare saranno: cavoli-cipolla, cetriolo-pomodoro, ravanello-cetriolo.
Dal mese di febbraio si potrebbero già seminare all’aperto l’aglio, le bietole, la cicoria, la cipolla, il radicchio, le rape, il ravanello e lo spinacio, oltre che proseguire con le carote se iniziata la semina a gennaio; vanno evitate le consociazioni di aglio-cavoli, aglio-pisello, cipolla-cavoli, cipolla-pisello, rape-spinacio, ravanello-cetriolo, prezzemolo-lattuga, sedano-lattuga, cavoli-cipolle, cavoli-finocchio.
A marzo con il rialzo delle temperature, inizia la ripresa vegetativa e quindi delle attività, prosegue comunque la coltivazione in coltura protetta per esempio di anguria, cetriolo, melanzana, melone, peperone, sedano e zucchine, ma allo stesso tempo si può iniziare anche la semina sempre in ambiente protetto, di fagiolo e zucca. All’aperto si può cominciare a seminare anche la bietola, la carota, la cicoria, l’insalata, la lattuga, il radicchio, le rape, il ravanello lo spinacio, il pisello e il prezzemolo. Inoltre, in primavera si può procedere anche al trapianto all’aperto di aglio e cipolle. Da evitare le consociazioni di fagiolo-aglio, fagiolo-cipolla, fagiolo-finocchio, fagiolo-pomodoro e zucca-cetriolo.
La difesa
In orticoltura sinergica i prodotti di origine naturale, sia antiparassitari che anche i fertilizzanti, si usano il meno possibile, perché si preferisce applicare strategie preventive di coltura piuttosto che usare dei prodotti che pur essendo naturali sono comunque estranei all’ecosistema. In generale, la grande cura profusa nel conservare le condizioni ideali di formazione dell’humus nei bancali e le buone pratiche agronomiche, permettono la crescita di piante sane e decisamente resistenti a parassiti e malattie.
La filosofia di base è quella di cercare di tenere in salute tutto il sistema suolo-microrganismi-piante, in modo che questi meccanismi compensino autonomamente l’eventuale insorgere di patologie. Inoltre, nel metodo sinergico, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, si utilizzano consociazioni all’interno dello stesso bancale, in funzione delle indicazioni “fitosociologiche” di reciproco stimolo alla crescita e di reciproca difesa, questo per poter stimolare barriere naturali per le colture presenti.
Fondamentale è la prassi di coltivare delle piante ad azione repellente (come per esempio il tagete, la calendula, il nasturzio, piante aromatiche, ecc.) in mezzo agli ortaggi, i quali a loro volta sono scelti in modo che in ogni bancale siano presenti almeno tre famiglie diverse contemporaneamente.
Oltre alla specifica azione repellente, la diversificazione delle colture a così stretto contatto, è una grande difesa contro molti tipi di attacchi parassitari che in questo modo potranno avere una diffusione molto limitata.
Il risultato di una coltivazione con il metodo sinergico è un impianto permanente con una vastissima biodiversità dove piante perenni trovano posto vicino a colture annuali che, a loro volta, hanno una posizione sistematica ma intervallata da diverse famiglie. Con tale metodo le colture non seguono una rotazione ma delle successioni, perché nello stesso appezzamento convivono piante con diversi periodi di sviluppo che vengono sostituite singolarmente con altre specie che iniziano il loro ciclo vitale in corrispondenza della fine delle precedenti.
Dopo aver iniziato la coltivazione dell’orto sinergico, con il tempo, diminuiscono anche drasticamente le eventuali necessità di specifici trattamenti antiparassitari, questo perché le colture diventano più resistenti grazie soprattutto ad un terreno più fertile e una naturale difesa dovuta all’effetto combinato delle piante ad azione repellente e alla grande biodiversità.
martedì 10 novembre 2020
L’orto biologico in inverno
Al giorno d’oggi avere un orto e poterlo curare, è una passione che negli ultimi anni sta accomunando milioni di italiani, sempre più entusiasti di questa bellissima esperienza che per molte persone è diventata molto più di un hobby. Le motivazioni che accomunano questi appassionati sono diverse, così come le modalità, si passa da orti urbani condivisi o in affitto, ai più tradizionali orti familiari, magari nel proprio piccolo pezzo di terra vicino casa, o più semplicemente a orti realizzati sul balcone. In ogni caso oltre alla passione, ciò che accomuna di più gli hobbisti orticoltori, è poter lavorare un orto con metodo biologico, per avere cibi sani da portare in tavola. Coltivare un orto porta vantaggi sicuramente in termini di produzione di ortaggi, ma anche risparmi a livello economico e ambientale, consentendo allo stesso tempo di tutelare l’ecosistema in cui si vive.
Autunno: prose pronte con piantine di verze
Alcune regole base
La prima regola per gestire un orto biologico è non utilizzare pesticidi chimici di alcun tipo, cercando di impiegare metodologie naturali per poter avere prodotti salubri nel rispetto dell’ambiente e della sua sostenibilità. Si inizia con l’utilizzo di semi biologici possibilmente coltivati in luoghi soleggiati, condizione che aiuta a far crescere le piante più sane. Altro aspetto fondamentale è la gestione agronomica, applicando la rotazione delle colture, così da non seminare per due anni successivi le stesse verdure nel medesimo spazio, in questo modo si evita l’impoverimento e il depauperamento del suolo. In fase di partenza sarà anche opportuno preparare il terreno vangando ed eliminando le erbacce da eventuali pietre e rami, possibilmente arricchendo il terreno con del buon concime maturo: stallatico, pollina o composto organico; va benissimo anche la concimazione verde, ovvero lasciare nel terreno l'erba tagliuzzata fine affinché si decomponga.
Le cure invernali
La stagione invernale con le sue basse temperature e le poche ore di sole, è il periodo nel quale l’orto ha minori possibilità di coltivazione e la maggioranza delle piante non sono coltivabili. Tuttavia, anche durante i mesi invernali, vi sono dei lavori da fare in quanto vi sono alcune colture (ortaggi invernali) che avendo una maggior resistenza al freddo, riescono a crescere e a produrre verdure anche di ottime qualità organolettiche.
Lavorare l’orto in inverno, consentirà di ottenere benefici importanti per la salute del terreno, in questo periodo, infatti, i parassiti sono molto più rari, così come anche le erbe infestanti che spesso contribuiscono a rovinare le colture; altro beneficio considerevole è la fertilità del suolo, questo anche grazie alle piogge che dovrebbero abbondare nel periodo.
La vangatura invernale, laddove possibile, porta in superficie i parassiti, che nei mesi freddi vengono uccisi per via delle basse temperature.
La concimazione del terreno, aspetto agronomico molto importante per la stagione, potrà essere fatta con concime maturo quale lo stallattico, la pollina oppure anche il compost organico o biocompost autoprodotto, magari utilizzando alcuni residui, quali per esempio:
- scarti di frutta, ortaggi e fiori secchi
- gusci d’uova triturati
- filtri di tè e caffè
- fogliame
- materiali legnosi sminuzzati per esempio dalle potature del giardino
Successivamente una volta raccolto il materiale, sarebbe auspicale lasciare per un mese tutto insieme a sedimentare in modo da avere un biocompost maturo da utilizzare per l’orto.
Se si hanno salvia, rosmarino, alloro e altre erbe aromatiche, è importante coprire le piante con tessuto-non-tessuto per evitare che gelate improvvise durante la stagione invernale arrechino danni irreversibili.
Se fosse possibile avere un semenzaio, sarebbe possibile nei mesi di gennaio e febbraio piantare per esempio lattughe, bietole, spinaci e altri ortaggi.
Ideale sarebbe poi fare anche manutenzione agli attrezzi che si utilizzeranno poi con la bella stagione.
Infine le annaffiature, l'orto invernale non ne richiede frequenti, in quanto la maggior parte delle piante che vengono coltivate a basse temperature non hanno necessità di molta acqua, soprattutto perché il clima al nord è già abbastanza umido e freddo; in ogni caso, quando il terriccio è evidentemente secco, è bene bagnarlo, senza tuttavia eccedere, è importante infatti dare acqua almeno fino a quando la terra è in grado di assorbirla, così da evitare ristagni in superficie. L’acqua dev’essere a temperatura ambiente.
L’inverno può essere una fonte piuttosto utile e importante per poter dare all’orto una nuova vita in attesa di quella primaverile.
Le coltivazioni invernali
Le poche piante in grado di resistere alle fredde gelate di stagione, possono stare nell’orto tutto l’inverno e arrivare a raccolta a fine anno, queste colture vengono chiamate ortaggi invernali. Tali verdure possono essere suddivise in due gruppi:
- ortaggi trapiantati a partire dalla fine dell’autunno con crescita e sviluppo in inverno ma con maturazione e raccolta in primavera; i più i portanti sono: piselli, fave, cipolle e aglio.
- ortaggi trapiantati a partire dalla fine dell’estate con crescita e sviluppo in autunno ma con maturazione e raccolta in inverno; i più i portanti sono: cavoli, broccoli, verze, porri e finocchi.
Vi sono poi delle piante cosiddette perenni quali il rabarbaro e il carciofo che restano in campo tutto l’anno compreso l’inverno.
In generale durante i mesi freddi, le verdure a foglia verde, come i cavoli, le verze e i broccoli, resistendo maggiormente rispetto ad altri ortaggi alle temperature rigide, sono l’ideale per la coltivazione orticola, inoltre sono anche ricche di sapore e micronutrienti.
Possono essere oggetto di coltivazione anche gli spinaci e le cime di rapa, se le temperature non sono particolarmente dure nei mesi invernali; in alcune zone d’Italia
laddove il clima è magari meno rigido rispetto al Nord, si possono anche coltivare radicchio e scarola.
Le principali malattie dell’orto invernale
Durante l’inverno molti parassiti ed insetti che proliferano in condizioni ambientali favorevoli (caldo/umido) in stagioni come la primavera e l’estate, non sono presenti, tuttavia, il freddo le gelate improvvise (al nord negli ultimi anni a fine inverno sono state piuttosto frequenti) e gli sbalzi di temperatura, possono far ammalare le piante e farle morire. Sarebbe quindi consigliabile almeno nei giorni in cui le temperature sono piuttosto rigide oppure dove si rischiano sbalzi termici (fine inverno), coprire le piantine nell’orto con teli, perlomeno la notte.
Parassiti abbastanza resistenti che possono provocare problemi anche in tardo autunno e a fine inverno, appena le temperature tendono a rialzarsi anche leggermente, sono gli afidi (https://it.wikipedia.org/wiki/Aphidoidea). Pertanto, nel caso in cui vi fosse un’infestazione, è possibile utilizzare piretro naturale: insetticida ad ampio spettro ammesso in agricoltura biologica. Volendo si potrebbe anche lavorare sulla prevenzione, soprattutto in inverno, ossia bagnando il terriccio con acqua mista ad un decotto di ortica, ovviamente se fosse possibile recuperarla in loco. La preparazione e l’utilizzo sono molto semplici: bollire per una ventina di minuti dell'ortica in poca acqua, filtrare ed aggiungere un cucchiaino di questo liquido all'acqua di irrigazione.
martedì 13 ottobre 2020
I Prodotti Locali
Il prodotto locale può essere definito come una dimensione della qualità e identificato attraverso una regione geografica di produzione ma non indica necessariamente che questo articolo debba essere consumato nella stessa area. Per esempio, se dai prodotti alimentari freschi si passa a quelli conservabili, la filiera corta in termini di ciclo di vendita commerciale assume diversi significati. Un altro approccio per definire il prodotto locale è quello delle dimensioni ambientali, sociali e culturali, in questo caso è molto più importante il rapporto che si stabilisce entro una comunità e l'adozione dei metodi di produzione e di vendita ambientalmente sostenibili. Il consumatore, spesso, associa al prodotto locale anche la caratteristica dei metodi di coltivazione, di allevamento e di trasformazione ambientalmente sostenibili, attraverso un’adeguata remunerazione del lavoro, il rispetto delle norme di benessere animale e la storia da cui è stato originato, la personalità e l'etica del produttore, nonché l'attrattività dell'azienda agricola, magari multifunzionale e del territorio in cui opera. Un esempio di prodotti tipici locali per esempio della costiera amalfitana sono il limoncello, gli scialatelli (una tipologia di pasta fatta in casa), ma anche l’olio extravergine e i pomodori San Marzano.
Logo STG
Prodotti italiani STG
I prodotti italiani con riconoscimento di specialità tradizionale garantita (STG) sono prodotti agricoli - alimentari ottenuti da composizioni o metodi di produzione tradizionali, legati alla storia di un’area, seppure non prodotti necessariamente solo in tale zona.
Diversamente da altri marchi, quali per esempio la denominazione di origine protetta (DOP) e l'indicazione geografica protetta (IGP), la certificazione STG è disciplinata dal Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (che ha sostituito i precedenti Regolamenti CE n.509/2006 e n. 2081/1992), si rivolge a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una produzione o composizione "specifica" (cioè differente da altri prodotti simili) e "tradizionale" (cioè esistente da almeno vent'anni), anche se non prodotta necessariamente solo in tale zona.
Anche una preparazione STG, come per le DOP, IGP, ecc, dev’essere conforme ad un preciso disciplinare di produzione, il quale deve indicare la denominazione specifica del prodotto (eventualmente tradotta anche in altre lingue ufficiali), una descrizione agroalimentare (comprese le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e organolettiche) e il metodo di produzione, la motivazione sulla specificità del prodotto, con in più documenti storici che dimostrano la tradizionalità e le modalità dei controlli. Contrariamente agli altri riconoscimenti europei (DOP e IGP), il marchio STG garantisce solo la ricetta tipica o il metodo di produzione tradizionale (deve esistere da almeno 20 anni) di un determinato prodotto, ma senza alcun vincolo di appartenenza territoriale: in pratica il prodotto STG può essere preparato in un qualsiasi paese dell'Unione europea, a patto che, la produzione rispetti il relativo disciplinare e sia certificata da un organismo di controllo accreditato. Inoltre, nel caso in cui la tecnica di produzione sia differente dal disciplinare, il prodotto può comunque essere commercializzato con identica denominazione, ma senza poter inserire sull'etichettatura il logo STG e la menzione comunitaria. Un tipico esempio di STG è la pizza napoletana (https://it.wikipedia.org/wiki/Pizza_napoletana).
Prodotti tradizionali
Con il termine di prodotti tradizionali, si intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodologie di lavorazione, conservazione e stagionatura, risultano rinvigorite nel tempo e siano omogenee per un certo areale di produzione, secondo regole tradizionali poi tradotte in disciplinari, per un periodo non inferiore ai 25 anni. Generalmente sono produzioni ottenute con dei processi di trasformazione e produzione consolidati nel corso del tempo e che si caratterizzano con particolarità che vanno poi ad assumere un grado di assoluta eccellenza. L’elemento “tradizione” conferisce a questi prodotti diverse caratteristiche che li rendono unici, i più importanti sono:
- la storia, ossia le origini delle comunità̀ locali che li producono e il loro stretto legame con l’ambiente e il territorio;
- la memoria e le vocazioni delle radici su cui si sono generati;
- la qualità, intesa come ricerca del gusto e del particolare;
- l’eccellenza legata all’alto profilo organolettico;
- la specificità che indica l’insieme di elementi che fanno distinguere un prodotto agricolo/alimentare con altri alimenti appartenenti alla stessa categoria.
Un esempio di questo prodotto è il Granone Lodigiano (https://it.wikipedia.org/wiki/Granone_Lodigiano) prodotto nella zona di Lodi viene considerato il capostipite dei prodotti grana.
Prodotti tipici
I Prodotti Tipici sono quelle produzioni agroalimentari cui si attribuisce un significato a valenza trasversale, i più importanti sono:
- i prodotti DOP
- i prodotti IGP
La denominazione di origine protetta, meglio nota con l'acronimo DOP, è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall'Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti.
L'ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali e sociali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo e artigianalità) che, combinati, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva.
Perché un prodotto venga classificato come DOP, le fasi di produzione, di trasformazione ed elaborazione, devono avvenire in un'area geografica delimitata. Chi produce prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Il rispetto di tali regole è garantito da uno specifico organismo di controllo. Un esempio di eccellenza di prodotto DOP è il Parmigiano Reggiano.
Con il termine Indicazione Geografica Protetta, meglio noto con l'acronimo IGP, viene indicato un marchio di origine attribuito dall'Unione Europea a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali almeno una fase produttiva avviene in un territorio ben preciso e limitato; di conseguenza per ottenere la IGP come minimo una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Chi produce IGP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite dal disciplinare di produzione, rispettando tali regole garantite e certificate da uno specifico organismo di controllo.
La IGP si differenzia dalla più prestigiosa denominazione di origine protetta (DOP), per il suo essere generalmente un'etichetta maggiormente permissiva sulla sola provenienza delle materie prime (possono essere sia di origine nazionale che di origine comunitaria che extra-comunitaria), in quanto tutela le ricette e alcuni processi produttivi caratterizzanti la tipicità del luogo ma non per forza l'origine del prodotto nel suo intero complesso, se non quello della produzione finale. Questo perché spesso una produzione di materie prime a livello locale o nazionale destinata a tali produzioni, potrebbero non essere sufficienti per soddisfare le richieste di prodotto a livello globale, oppure perché alcuni ingredienti di origine estera vengono considerati più idonei per loro specifiche caratteristiche organolettiche per la riuscita finale del prodotto finale. Un tipico esempio di questi prodotti è la bresaola IGP della Valtellina, lavorata in Valtellina ma con materia prima proveniente dal Sud America prevalentemente dal Brasile e Argentina.
lunedì 14 settembre 2020
La lotta integrata in agricoltura
La lotta integrata è una pratica di difesa delle colture che prevede una drastica riduzione dell'uso di fitofarmaci attraverso una metodologia alternativa rispetto all’utilizzo esclusivo di sotanze chimiche. In pratica, la difesa integrata è una strategia che consente di limitare i danni derivanti dai parassiti delle piante utilizzando tutti i metodi e le tecniche disponibili nel rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo.
Foglia di pomodoro attaccata da mosche bianche (danno indiretto)
La normativa
La Direttiva CE n.128 del 21 ottobre 2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi, definisce la difesa integrata come: “l’attenta considerazione di tutti i metodi di protezione fitosanitaria disponibili e la conseguente integrazione di tutte le misure appropriate, volte a scoraggiare lo sviluppo di popolazioni di organismi nocivi e che mantengono l’uso dei prodotti fitosanitari e altre forme d’intervento a livelli che siano giustificati in termini economici ed ecologici, riducendo o minimizzando i rischi per la salute umana e per l’ambiente.”
La difesa fitosanitaria integrata delle colture agrarie è quindi una tecnica di produzione a basso impatto ambientale che ha come finalità, quella di ottenere produzioni agricole vegetali accettabili dal punto di vista economico, realizzate in modo da ridurre i rischi per la salute umana e per l’ambiente
Cos’è la lotta integrata
Nata inizialmente come metodologia atta a contenere i costi dei trattamenti chimici sulle colture agrarie, si è poi “affermata” rispetto alla difesa chimica a calendario che mirava per lo più all’eliminazione dell’agente di danno, come metodo in grado di raggiungere un equilibrio che sia economicamente vantaggioso per l’agricoltore e sia rispettoso dell’uomo e dell’ambiente.
La difesa esclusivamente chimica, procedimento sempre meno utilizzato, in quanto presuppone interventi costanti a calendario legati alla frequenza del trattamento indipendentemente dalle condizioni e dai danni, risulta essere per la sua efficacia, di breve durata, aumentando allo stesso tempo il rischio di comparsa di organismi bersaglio non più sensibili ai prodotti utilizzati e anche non più economicamente sostenibili. La difesa integrata invece, al contrario della sola difesa chimica, determina una progressiva riduzione degli interventi che avranno lo scopo di riportare la coltivazione in uno stato di equilibrio; per fare questo però sono necessarie delle conoscenze di base ma soprattutto un costante impegno in campo per monitorare lo stato di salute della coltura.
Rispetto ad una difesa chimica “a calendario”, la difesa integrata, utilizza degli interventi in base ad un attento calcolo dei costi, realizzando in questo modo un vantaggio economico nel lungo periodo, determinato sia da un minor numero di interventi, che, molto spesso, da un minor costo degli stessi. A differenza di una difesa esclusivamente chimica, si dovrà valutare anche le possibilità di utilizzare metodi che abbiano minori effetti indesiderati, in modo particolare quelli relativi alle specie ed alle superfici non bersaglio dell’intervento, inclusi gli insetti antagonisti delle specie dannose, gli impollinatori e la complessa micro/macro fauna del terreno; a tal proposito è preferibile utilizzare metodi di controllo agronomici, biologici, ecc., così da ridurre i rischi legati all’uso di prodotti fitosanitari. Per questo motivo utilizzando la difesa integrata, sono necessarie, tra l’altro, un’approfondita conoscenza delle malattie delle colture coltivate, ed una costante presenza in campo per monitorare lo stato di salute delle coltivazioni in atto, questo per poter intervenire in modo mirato e puntuale.
Scorcio di campo di grano coltivato con difesa integrata
Applicazioni e scopi
I principali accorgimenti di difesa possono essere così riassunti:
- uso di fitofarmaci poco o per niente tossici per l'uomo e per gli insetti utili;
- lotta agli insetti dannosi tramite la confusione sessuale (uso di diffusori di feromoni);
- fitofarmaci selettivi (che vanno a colpire solo alcuni insetti – quelli dannosi per la coltura in campo);
- fitofarmaci che possono essere facilmente denaturati dall'azione biochimica del terreno e dall'aria;
- lotta agli insetti dannosi tramite tecniche di autocidio, come per esempio la tecnica dell'insetto sterile (SIT);
- analisi e previsioni del verificarsi delle condizioni utili allo sviluppo dei parassiti, in modo da irrorare con fitofarmaci specifici solo in caso di effettivo pericolo di infezione e non ad intervalli fissi a scopo preventivo (modello difesa chimica);
- lotta agli insetti dannosi tramite l'inserimento di altri che siano loro predatori naturali e che non siano dannosi alle coltivazioni (lotta biologica);
- uso di varietà colturali maggiormente resistenti e certificate;
- metodi agronomici quali le rotazioni colturali;
- eliminazione di piante infette.
La difesa integrata è quindi una strategia di protezione delle colture che unisce l’efficacia con la convenienza, il rispetto dell’ambiente con la qualità del prodotto, ed è attuabile anche su larga scala.
Lo scopo principale della lotta integrata è quello di sfruttare i fattori biotici e abiotici di regolazione interna agli ecosistemi, così da avere un vantaggio e utilizzare tutti gli strumenti possibili non limitandosi solo ai mezzi chimici, ma sfruttando anche elementi biologici, culturali e biotecnologici. Questo approccio è prevalentemente usato nella lotta contro gli insetti, ma si può estendere nella lotta contro tutti gli organismi dannosi quali per esempio i funghi e i roditori. L’obiettivo principale è quello di mantenere l'organismo dannoso entro una soglia limite oltre al quale l'organismo stesso crea un danno, cercando di contenerlo il più possibile. Nella difesa integrata non si è quindi semplici spettatori ed esecutori di interventi prestabiliti, ma si diventa protagonisti attivi sia a livello decisionale che operativo, con effetti positivi sia sull’ambiente nel suo complesso e sia sulla salute umana, ma soprattutto sulla qualità dei prodotti agricoli che vengono poi consumati e commercializzati; è pertanto fondamentale che tale metodologia venga applicata con una assistenza tecnica qualificata per poter ottenere migliori risultati possibili sia in termini di produttività che di economicità.