lunedì 14 dicembre 2020

La supply chain alimentare

Il mercato agroalimentare negli ultimi anni è profondamente cambiato, oggi giorno le scorte di magazzino, laddove fosse possibile, sono sempre meno, in quanto la tendenza di qualche decennio fa, ossia vendere ciò che veniva prodotto è cambiata, in questi anni non è più realistico ed occorre produrre solo ciò che si riesce a vendere. Pertanto, le aziende sono passate ad un approccio marketing oriented, che permette loro di individuare esattamente i bisogni di mercato e andare a soddisfarli in una logica di quasi real time. In questo scenario la logistica integrata (supply chain management), grazie alla sua importanza strategica, ha consentito lo sviluppo e l'affermazione della filiera agroalimentare e dei concetti di tracciabilità e rintracciabilità in una condizione quantomai attuale di sicurezza alimentare.

La supply chain dei prodotti alimentari è un processo molto delicato e articolato che come primo aspetto, deve garantire e gestire l’approvvigionamento delle materie prime, passando dallo stoccaggio in magazzino per andare poi al rifornimento all’interno dei reparti. Nello stesso tempo deve anche occuparsi di gestire l’imballaggio della merce e assicurare il corretto flusso di trasporto su tutta la rete distributiva; tutto ciò cercando di garantire un’attenta pianificazione nel rispetto dei tempi previsti.

Si può tranquillamente affermare che una Supply chain efficiente, deve comprendere tutto il processo organizzativo, strategico e gestionale all’interno di un’azienda. 



La tecnologia

All’interno dei processi logistici, vi sono aspetti fondamentali legati alla tecnologia che oggi giorno sempre di più, non possono che essere fondamentali. Per esempio al giorno d’oggi si parla ormai di "droni", "IoT" (Internet of Things) o "Big Data", attraverso cui è poi possibile poi ricavare tutta una serie di informazioni in real time che possano servire in seguito per l’ottimizzazione di modelli futuri di supply chain.

I processi di standardizzazione nei flussi comunicativi, attraverso l’utilizzo di EDI (Electronic Data Interchange) hanno consentito di semplificare e ottimizzare lo scambio di informazioni tra tutti i player coinvolti nella catena distributiva, come ad esempio:

  • l’invio degli ordini di acquisto da parte dei clienti al buying office o ufficio gestione scorte;
  • trasmissione della fattura elettronica e/o packing list (liste di distribuzione) da parte del produttore al buying office o ufficio gestione scorte;
  • eventuale invio di packing list e/o etichette al magazzino logistico di origine;
  • in caso di merce importata, trasmissione di informazioni quali pre-clearing e prior notice dallo spedizioniere (che ha provveduto alle pratiche doganali);
  • invio di packing list al centro di distribuzione.

Tutto ciò per la parte informativa, senza contare poi tutta la parte distributiva legata alla radio frequenza (RF), ossia gestione del magazzino con sistemi di onde radio sui terminali degli operatori, in grado di ottimizzare tempi e metodi.  Vi sono poi magazzini completamente automatizzati gestisti dai robot, per lavorazioni massime di prodotti molto standard come per esempio l’acqua in plastica venduta e movimentata a bancali interi.

Infine, ma non per ordine d’importanza, vi è anche la gestione dei mezzi di trasporto con software satellitari, in grado di monitorare i camion lungo il percorso e in caso di trasporti refrigerati come i prodotti freschi (carne, pesce, formaggi, ecc) o surgelati, di rilasciare in tempo reale, il tracciato della temperatura in fase di consegna a garanzia del mantenimento della catena del freddo.



La tracciabilità

Per tracciabilità in logistica, si intende l'identificazione delle diverse fasi che percorre un prodotto o un pacco (in caso di gestione corriere) da un punto in cui si è originato (la fabbrica o il magazzino) fino a un punto di destinazione (il cliente o il negozio in caso di retail). 

Anche per la supply chain alimentare oltre che essere un requisito fondamentale per la gestione della sicurezza e delle emergenze alimentari, la tracciabilità ha un ruolo importante per garantire la qualità del prodotto; infatti, grazie a un accurato sistema di documentazione (ormai per lo più informatizzata), è possibile risalire a tutti i controlli eseguiti sui processi e i prodotti in ogni fase produttiva.

I termini tracciabilità e rintracciabilità o anche chiamati internazionalmente tracking per la tracciabilità e tracing per la rintracciabilità, spesso vengono utilizzati come sinonimi per identificare due processi ben precisi, ma che in realtà identificano due metodi speculari fra loro.

La tracciabilità/tracking è il processo che segue il prodotto da monte a valle della filiera (dall’inizio alla fine) in modo che, in ogni fase del processo, vengano lasciate opportune tracce chiamate: informazioni.

La rintracciabilità/tracing è il processo inverso della filiera (dalla fine all’inizio), ossia un metodo in grado di raccogliere le informazioni precedentemente rilasciate.

Nel primo caso, l’obiettivo di “tracciare” le informazioni è quello di stabilire quali agenti e quali elementi debbano “lasciare traccia” lungo tutto il processo; nel secondo caso invece, si tratta principalmente di evidenziare lo strumento tecnico utile a rintracciare queste “tracce”.



La Supply Chain agroalimentare

L’integrazione fra produzione agroalimentare e supply chain se ben integrata, può generare valore aggiunto lungo la filiera dando sicurezza e affidabilità sia al produttore che al consumatore attraverso lo stretto coordinamento delle attività logistiche lungo la catena di fornitura (supply chain). 

In particolare, l’evoluzione delle preferenze del consumatore ha portato ad una crescita esponenziale delle gamma e varietà dei prodotti agroalimentari disponibili, obbligando, di fatto, anche il flusso logistico a adeguarsi alle esigenze distributive attraverso un aumento della frequenza di consegna e alla ricerca di un livello di servizio sempre più alto. Questa profonda evoluzione è relativamente recente, ma è destinata a crescere radicalmente, in quanto la supply chain alimentare soprattutto per i prodotti freschi e freschissimi (carne, pesce, ortofrutta, latticini, salumi, ecc.), riveste e rivestirà un ruolo sempre più strategico, attraverso l’integrazione dei flussi fisici, informatici ed informativi fra clienti, servizi logistici, distributori e produttori.

L’origine delle principali difficoltà commerciali e distributive del sistema agro-alimentare e che danno luogo ad eccessive voci di costo, sono molto spesso da ricondursi alle inefficienze legate ad una non corretta gestione dei flussi lungo la supply chain, più che ad aspetti tecnici di produzione. Inoltre, occorre porre particolare attenzione al trasporto e alla gestione dei flussi informaci ed informativi, questo per il loro ruolo fondamentale di articolazione degli scambi, ma, soprattutto, perché il sistema agroalimentare italiano – e in particolare il settore dei prodotti alimentari deperibili freschi – è particolarmente sensibile alla distanza fra le aree produttive e quelle di consumo,  di conseguenza è basilare porre attenzione a tutti i flussi lungo la filiera per garantire un servizio efficiente e di valore al cliente finale.






martedì 10 novembre 2020

L’orto biologico in inverno

Al giorno d’oggi avere un orto e poterlo curare, è una passione che negli ultimi anni sta accomunando milioni di italiani, sempre più entusiasti di questa bellissima esperienza che per molte persone è diventata molto più di un hobby. Le motivazioni che accomunano questi appassionati sono diverse, così come le modalità, si passa da orti urbani condivisi o in affitto, ai più tradizionali orti familiari, magari nel proprio piccolo pezzo di terra vicino casa, o più semplicemente a orti realizzati sul balcone. In ogni caso oltre alla passione, ciò che accomuna di più gli hobbisti orticoltori, è poter lavorare un orto con metodo biologico, per avere cibi sani da portare in tavola. Coltivare un orto porta vantaggi sicuramente in termini di produzione di ortaggi, ma anche risparmi a livello economico e ambientale, consentendo allo stesso tempo di tutelare l’ecosistema in cui si vive.


Autunno: prose pronte con piantine di verze


Alcune regole base

La prima regola per gestire un orto biologico è non utilizzare pesticidi chimici di alcun tipo, cercando di impiegare metodologie naturali per poter avere prodotti salubri nel rispetto dell’ambiente e della sua sostenibilità. Si inizia con l’utilizzo di semi biologici possibilmente coltivati in luoghi soleggiati, condizione che aiuta a far crescere le piante più sane. Altro aspetto fondamentale è la gestione agronomica, applicando la rotazione delle colture, così da non seminare per due anni successivi le stesse verdure nel medesimo spazio, in questo modo si evita l’impoverimento e il depauperamento del suolo. In fase di partenza sarà anche opportuno preparare il terreno vangando ed eliminando le erbacce da eventuali pietre e rami, possibilmente arricchendo il terreno con del buon concime maturo: stallatico, pollina o composto organico; va benissimo anche la concimazione verde, ovvero lasciare nel terreno l'erba tagliuzzata fine affinché si decomponga.



Le cure invernali

La stagione invernale con le sue basse temperature e le poche ore di sole, è il periodo nel quale l’orto ha minori possibilità di coltivazione e la maggioranza delle piante non sono coltivabili. Tuttavia, anche durante i mesi invernali, vi sono dei lavori da fare in quanto vi sono alcune colture (ortaggi invernali) che avendo una maggior resistenza al freddo, riescono a crescere e a produrre verdure anche di ottime qualità organolettiche.

Lavorare l’orto in inverno, consentirà di ottenere benefici importanti per la salute del terreno, in questo periodo, infatti, i parassiti sono molto più rari, così come anche le erbe infestanti che spesso contribuiscono a rovinare le colture; altro beneficio considerevole è la fertilità del suolo, questo anche grazie alle piogge che dovrebbero abbondare nel periodo. 

La vangatura invernale, laddove possibile, porta in superficie i parassiti, che nei mesi freddi vengono uccisi per via delle basse temperature.

La concimazione del terreno, aspetto agronomico molto importante per la stagione, potrà essere fatta con concime maturo quale lo stallattico, la pollina oppure anche il compost organico o biocompost autoprodotto, magari utilizzando alcuni residui, quali per esempio:

  • scarti di frutta, ortaggi e fiori secchi
  • gusci d’uova triturati
  • filtri di tè e caffè
  • fogliame
  • materiali legnosi sminuzzati per esempio dalle potature del giardino 

Successivamente una volta raccolto il materiale, sarebbe auspicale lasciare per un mese tutto insieme a sedimentare in modo da avere un biocompost maturo da utilizzare per l’orto.

Se si hanno salvia, rosmarino, alloro e altre erbe aromatiche, è importante coprire le piante con tessuto-non-tessuto per evitare che gelate improvvise durante la stagione invernale arrechino danni irreversibili.

Se fosse possibile avere un semenzaio, sarebbe possibile nei mesi di gennaio e febbraio piantare per esempio lattughe, bietole, spinaci e altri ortaggi.

Ideale sarebbe poi fare anche manutenzione agli attrezzi che si utilizzeranno poi con la bella stagione.

Infine le annaffiature, l'orto invernale non ne richiede frequenti, in quanto la maggior parte delle piante che vengono coltivate a basse temperature non hanno necessità di molta acqua, soprattutto perché il clima al nord è già abbastanza umido e freddo; in ogni caso, quando il terriccio è evidentemente secco, è bene bagnarlo, senza tuttavia eccedere, è importante infatti dare acqua almeno fino a quando la terra è in grado di assorbirla, così da evitare ristagni in superficie. L’acqua dev’essere a temperatura ambiente.

L’inverno può essere una fonte piuttosto utile e importante per poter dare all’orto una nuova vita in attesa di quella primaverile.


Prose con ortaggi


Le coltivazioni invernali

Le poche piante in grado di resistere alle fredde gelate di stagione, possono stare nell’orto tutto l’inverno e arrivare a raccolta a fine anno, queste colture vengono chiamate ortaggi invernali. Tali verdure possono essere suddivise in due gruppi: 

  1. ortaggi trapiantati a partire dalla fine dell’autunno con crescita e sviluppo in inverno ma con maturazione e raccolta in primavera; i più i portanti sono: piselli, fave, cipolle e aglio.
  2. ortaggi trapiantati a partire dalla fine dell’estate con crescita e sviluppo in autunno ma con maturazione e raccolta in inverno; i più i portanti sono: cavoli, broccoli, verze, porri e finocchi.

Vi sono poi delle piante cosiddette perenni quali il rabarbaro e il carciofo che restano in campo tutto l’anno compreso l’inverno.

In generale durante i mesi freddi, le verdure a foglia verde, come i cavoli, le verze e i broccoli, resistendo maggiormente rispetto ad altri ortaggi alle temperature rigide, sono l’ideale per la coltivazione orticola, inoltre sono anche ricche di sapore e micronutrienti.

Possono essere oggetto di coltivazione anche gli spinaci e le cime di rapa, se le temperature non sono particolarmente dure nei mesi invernali; in alcune zone d’Italia

laddove il clima è magari meno rigido rispetto al Nord, si possono anche coltivare radicchio e scarola.



Cavolo romanesco


Le principali malattie dell’orto invernale

Durante l’inverno molti parassiti ed insetti che proliferano in condizioni ambientali favorevoli (caldo/umido) in stagioni come la primavera e l’estate, non sono presenti, tuttavia, il freddo le gelate improvvise (al nord negli ultimi anni a fine inverno sono state piuttosto frequenti) e gli sbalzi di temperatura, possono far ammalare le piante e farle morire. Sarebbe quindi consigliabile almeno nei giorni in cui le temperature sono piuttosto rigide oppure dove si rischiano sbalzi termici (fine inverno), coprire le piantine nell’orto con teli, perlomeno la notte. 

Parassiti abbastanza resistenti che possono provocare problemi anche in tardo autunno e a fine inverno, appena le temperature tendono a rialzarsi anche leggermente, sono gli afidi (https://it.wikipedia.org/wiki/Aphidoidea). Pertanto, nel caso in cui vi fosse un’infestazione, è possibile utilizzare piretro naturale: insetticida ad ampio spettro ammesso in agricoltura biologica. Volendo si potrebbe anche lavorare sulla prevenzione, soprattutto in inverno, ossia bagnando il terriccio con acqua mista ad un decotto di ortica, ovviamente se fosse possibile recuperarla in loco. La preparazione e l’utilizzo sono molto semplici: bollire per una ventina di minuti dell'ortica in poca acqua, filtrare ed aggiungere un cucchiaino di questo liquido all'acqua di irrigazione.





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martedì 13 ottobre 2020

I Prodotti Locali

Il prodotto locale può essere definito come una dimensione della qualità e identificato attraverso una regione geografica di produzione ma non indica necessariamente che questo articolo debba essere consumato nella stessa area. Per esempio, se dai prodotti alimentari freschi si passa a quelli conservabili, la filiera corta in termini di ciclo di vendita commerciale assume diversi significati. Un altro approccio per definire il prodotto locale è quello delle dimensioni ambientali, sociali e culturali, in questo caso è molto più importante il rapporto che si stabilisce entro una comunità e l'adozione dei metodi di produzione e di vendita ambientalmente sostenibili. Il consumatore, spesso, associa al prodotto locale anche la caratteristica dei metodi di coltivazione, di allevamento e di trasformazione ambientalmente sostenibili, attraverso un’adeguata remunerazione del lavoro, il rispetto delle norme di benessere animale e la storia da cui è stato originato, la personalità e l'etica del produttore, nonché l'attrattività dell'azienda agricola, magari multifunzionale e del territorio in cui opera. Un esempio di prodotti tipici locali per esempio della costiera amalfitana sono il limoncello, gli scialatelli (una tipologia di pasta fatta in casa), ma anche l’olio extravergine e i pomodori San Marzano.


Logo STG


Prodotti italiani STG

I prodotti italiani con riconoscimento di specialità tradizionale garantita (STG) sono prodotti agricoli - alimentari ottenuti da composizioni o metodi di produzione tradizionali, legati alla storia di un’area, seppure non prodotti necessariamente solo in tale zona.

Diversamente da altri marchi, quali per esempio la denominazione di origine protetta (DOP) e l'indicazione geografica protetta (IGP), la certificazione STG è disciplinata dal Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (che ha sostituito i precedenti Regolamenti CE n.509/2006 e n. 2081/1992), si rivolge a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una produzione o composizione "specifica" (cioè differente da altri prodotti simili) e "tradizionale" (cioè esistente da almeno vent'anni), anche se non prodotta necessariamente solo in tale zona.

Anche una preparazione STG, come per le DOP, IGP, ecc, dev’essere conforme ad un preciso disciplinare di produzione, il quale deve indicare la denominazione specifica del prodotto (eventualmente tradotta anche in altre lingue ufficiali), una descrizione agroalimentare (comprese le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e organolettiche) e il metodo di produzione, la motivazione sulla specificità del prodotto, con in più documenti storici che dimostrano la tradizionalità e le modalità dei controlli. Contrariamente agli altri riconoscimenti europei (DOP e IGP), il marchio STG garantisce solo la ricetta tipica o il metodo di produzione tradizionale (deve esistere da almeno 20 anni) di un determinato prodotto, ma senza alcun vincolo di appartenenza territoriale: in pratica il prodotto STG può essere preparato in un qualsiasi paese dell'Unione europea, a patto che, la produzione rispetti il relativo disciplinare e sia certificata da un organismo di controllo accreditato. Inoltre, nel caso in cui la tecnica di produzione sia differente dal disciplinare, il prodotto può comunque essere commercializzato con identica denominazione, ma senza poter inserire sull'etichettatura il logo STG e la menzione comunitaria. Un tipico esempio di STG è la pizza napoletana (https://it.wikipedia.org/wiki/Pizza_napoletana).



Prodotti tradizionali

Con il termine di prodotti tradizionali, si intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodologie di lavorazione, conservazione e stagionatura, risultano rinvigorite nel tempo e siano omogenee per un certo areale di produzione, secondo regole tradizionali poi tradotte in disciplinari, per un periodo non inferiore ai 25 anni. Generalmente sono produzioni ottenute con dei processi di trasformazione e produzione consolidati nel corso del tempo e che si caratterizzano con particolarità che vanno poi ad assumere un grado di assoluta eccellenza. L’elemento “tradizione” conferisce a questi prodotti diverse caratteristiche che li rendono unici, i più importanti sono:

  • la storia, ossia le origini delle comunità̀ locali che li producono e il loro stretto legame con l’ambiente e il territorio;
  • la memoria e le vocazioni delle radici su cui si sono generati;
  • la qualità, intesa come ricerca del gusto e del particolare;
  • l’eccellenza legata all’alto profilo organolettico;
  • la specificità che indica l’insieme di elementi che fanno distinguere un prodotto agricolo/alimentare con altri alimenti appartenenti alla stessa categoria.

Un esempio di questo prodotto è il Granone Lodigiano (https://it.wikipedia.org/wiki/Granone_Lodigiano) prodotto nella zona di Lodi viene considerato il capostipite dei prodotti grana.


Logo IGP

Prodotti tipici

I Prodotti Tipici sono quelle produzioni agroalimentari cui si attribuisce un significato a valenza trasversale, i più importanti sono:

- i prodotti DOP

- i prodotti IGP

La denominazione di origine protetta, meglio nota con l'acronimo DOP, è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall'Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti.

L'ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali e sociali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo e artigianalità) che, combinati, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva.

Perché un prodotto venga classificato come DOP, le fasi di produzione, di trasformazione ed elaborazione, devono avvenire in un'area geografica delimitata. Chi produce prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Il rispetto di tali regole è garantito da uno specifico organismo di controllo. Un esempio di eccellenza di prodotto DOP è il Parmigiano Reggiano.

Con il termine Indicazione Geografica Protetta, meglio noto con l'acronimo IGP, viene indicato un marchio di origine attribuito dall'Unione Europea a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali almeno una fase produttiva avviene in un territorio ben preciso e limitato; di conseguenza per ottenere la IGP come minimo una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Chi produce IGP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite dal disciplinare di produzione, rispettando tali regole garantite e certificate da uno specifico organismo di controllo.

La IGP si differenzia dalla più prestigiosa denominazione di origine protetta (DOP), per il suo essere generalmente un'etichetta maggiormente permissiva sulla sola provenienza delle materie prime (possono essere sia di origine nazionale che di origine comunitaria che extra-comunitaria), in quanto tutela le ricette e alcuni processi produttivi caratterizzanti la tipicità del luogo ma non per forza l'origine del prodotto nel suo intero complesso, se non quello della produzione finale. Questo perché spesso una produzione di materie prime a livello locale o nazionale destinata a tali produzioni, potrebbero non essere sufficienti per soddisfare le richieste di prodotto a livello globale, oppure perché alcuni ingredienti di origine estera vengono considerati più idonei per loro specifiche caratteristiche organolettiche per la riuscita finale del prodotto finale. Un tipico esempio di questi prodotti è la bresaola IGP della Valtellina, lavorata in Valtellina ma con materia prima proveniente dal Sud America prevalentemente dal Brasile e Argentina. 


Scorcio di campagna


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lunedì 14 settembre 2020

La lotta integrata in agricoltura

La lotta integrata è una pratica di difesa delle colture che prevede una drastica riduzione dell'uso di fitofarmaci attraverso una metodologia alternativa rispetto all’utilizzo esclusivo di sotanze chimiche. In pratica, la difesa integrata è una strategia che consente di limitare i danni derivanti dai parassiti delle piante utilizzando tutti i metodi e le tecniche disponibili nel rispetto dell’ambiente e della salute dell’uomo.


Foglia di pomodoro attaccata da mosche bianche (danno indiretto)


La normativa

La Direttiva CE n.128 del 21 ottobre 2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi, definisce la difesa integrata come: “l’attenta considerazione di tutti i metodi di protezione fitosanitaria disponibili e la conseguente integrazione di tutte le misure appropriate, volte a scoraggiare lo sviluppo di popolazioni di organismi nocivi e che mantengono l’uso dei prodotti fitosanitari e altre forme d’intervento a livelli che siano giustificati in termini economici ed ecologici, riducendo o minimizzando i rischi per la salute umana e per l’ambiente.”

La difesa fitosanitaria integrata delle colture agrarie è quindi una tecnica di produzione a basso impatto ambientale che ha come finalità, quella di ottenere produzioni agricole vegetali accettabili dal punto di vista economico, realizzate in modo da ridurre i rischi per la salute umana e per l’ambiente



Cos’è la lotta integrata

Nata inizialmente come metodologia atta a contenere i costi dei trattamenti chimici sulle colture agrarie, si è poi “affermata” rispetto alla difesa chimica a calendario che mirava per lo più all’eliminazione dell’agente di danno, come metodo in grado di raggiungere un equilibrio che sia economicamente vantaggioso per l’agricoltore e sia rispettoso dell’uomo e dell’ambiente. 

La difesa esclusivamente chimica, procedimento sempre meno utilizzato, in quanto presuppone interventi costanti a calendario legati alla frequenza del trattamento indipendentemente dalle condizioni e dai danni, risulta essere per la sua efficacia, di breve durata, aumentando allo stesso tempo il rischio di comparsa di organismi bersaglio non più sensibili ai prodotti utilizzati e anche non più economicamente sostenibili. La difesa integrata invece, al contrario della sola difesa chimica, determina una progressiva riduzione degli interventi che avranno lo scopo di riportare la coltivazione in uno stato di equilibrio; per fare questo però sono necessarie delle conoscenze di base ma soprattutto un costante impegno in campo per monitorare lo stato di salute della coltura.

Rispetto ad una difesa chimica “a calendario”, la difesa integrata, utilizza degli interventi in base ad un attento calcolo dei costi, realizzando in questo modo un vantaggio economico nel lungo periodo, determinato sia da un minor numero di interventi, che, molto spesso, da un minor costo degli stessi. A differenza di una difesa esclusivamente chimica, si dovrà valutare anche le possibilità di utilizzare metodi che abbiano minori effetti indesiderati, in modo particolare quelli relativi alle specie ed alle superfici non bersaglio dell’intervento, inclusi gli insetti antagonisti delle specie dannose, gli impollinatori e la complessa micro/macro fauna del terreno; a tal proposito è preferibile utilizzare metodi di controllo agronomici, biologici, ecc., così da ridurre i rischi legati all’uso di prodotti fitosanitari. Per questo motivo utilizzando la difesa integrata, sono necessarie, tra l’altro, un’approfondita conoscenza delle malattie delle colture coltivate, ed una costante presenza in campo per monitorare lo stato di salute delle coltivazioni in atto, questo per poter intervenire in modo mirato e puntuale.


Scorcio di campo di grano coltivato con difesa integrata


Applicazioni e scopi

I principali accorgimenti di difesa possono essere così riassunti:

  • uso di fitofarmaci poco o per niente tossici per l'uomo e per gli insetti utili;
  • lotta agli insetti dannosi tramite la confusione sessuale (uso di diffusori di feromoni);
  • fitofarmaci selettivi (che vanno a colpire solo alcuni insetti – quelli dannosi per la coltura in campo);
  • fitofarmaci che possono essere facilmente denaturati dall'azione biochimica del terreno e dall'aria;
  • lotta agli insetti dannosi tramite tecniche di autocidio, come per esempio la tecnica dell'insetto sterile (SIT);
  • analisi e previsioni del verificarsi delle condizioni utili allo sviluppo dei parassiti, in modo da irrorare con fitofarmaci specifici solo in caso di effettivo pericolo di infezione e non ad intervalli fissi a scopo preventivo (modello difesa chimica);
  • lotta agli insetti dannosi tramite l'inserimento di altri che siano loro predatori naturali e che non siano dannosi alle coltivazioni (lotta biologica);
  • uso di varietà colturali maggiormente resistenti e certificate;
  • metodi agronomici quali le rotazioni colturali;
  • eliminazione di piante infette.

La difesa integrata è quindi una strategia di protezione delle colture che unisce l’efficacia con la convenienza, il rispetto dell’ambiente con la qualità del prodotto, ed è attuabile anche su larga scala.

Lo scopo principale della lotta integrata è quello di sfruttare i fattori biotici e abiotici di regolazione interna agli ecosistemi, così da avere un vantaggio e utilizzare tutti gli strumenti possibili non limitandosi solo ai mezzi chimici, ma sfruttando anche elementi biologici, culturali e biotecnologici. Questo approccio è prevalentemente usato nella lotta contro gli insetti, ma si può estendere nella lotta contro tutti gli organismi dannosi quali per esempio i funghi e i roditori. L’obiettivo principale è quello di mantenere l'organismo dannoso entro una soglia limite oltre al quale l'organismo stesso crea un danno, cercando di contenerlo il più possibile. Nella difesa integrata non si è quindi semplici spettatori ed esecutori di interventi prestabiliti, ma si diventa protagonisti attivi sia a livello decisionale che operativo, con effetti positivi sia sull’ambiente nel suo complesso e sia sulla salute umana, ma soprattutto sulla qualità dei prodotti agricoli che vengono poi consumati e commercializzati; è pertanto fondamentale che tale metodologia venga applicata con una assistenza tecnica qualificata per poter ottenere migliori risultati possibili sia in termini di produttività che di economicità.




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martedì 11 agosto 2020

La filiera corta e la sua importanza strategica

I mercati alimentari di quartiere per un lungo periodo, per gli abitanti soprattutto delle città, hanno rappresentato una delle fonti principali di acquisto dei prodotti freschi come ortofrutta, latticini, carne e pesce, tuttavia la loro importanza a causa delle mutate condizioni di acquisto, è rapidamente diminuita negli anni. Nel corso del tempo, il fenomeno della vendita diretta è in qualche modo cambiato, attraverso i mercati contadini ha assunto tratti distintivi dal classico mercato rionale avendo modalità e logiche soprattutto di approvvigionamento diverse. Con questa nuova formula gli attuali mercati contadini, per come sono organizzati, presentano anche un valore aggiunto dal punto di vista sociale e culturale che i vecchi mercati cittadini tradizionali non avevano, in quanto spesso sono occasione di condivisione, scambio di informazioni e conoscenza sul mondo della produzione e dell’ambiente. La logica con la quale sono sovente organizzati, congiuntamente alla vendita dei prodotti agricoli, propone eventi, manifestazioni e momenti di riflessione, al fine di fornire informazioni ai consumatori e favorire la conoscenza e la comunicazione sulla produzione, trasformazione agricola e l’ambiente, dando quel valore aggiunto in termini di storytelling che il consumatore moderno cerca.


La filiera corta


Modelli di filiera corta diversi

Il modello dei farmers’ markets (mercato degli agricoltori) è stato importato dagli Stati Uniti e arrivato poi anche in Europa e quindi in Italia; oggi giorno negli Usa i farmers’ markets sono principalmente ubicati nelle grandi metropoli, ma con una rilevante differenza rispetto al modello prevalente in Italia soprattutto a livello di prodotti venduti, in quanto negli States sono soprattutto alimenti di consumo quotidiano, non contraddistinti da particolari caratteristiche qualitative, come invece avviene nel nostro paese, dove le specialità tradizionali regionali e locali, con i prodotti tipici la fanno da padrone.

In Europa, rispetto all’Italia, molti paesi hanno sviluppato varie forme di vendita diretta: in Francia per esempio, questa modalità commerciale, è una realtà consolidata che copre una buona parte del mercato agroalimentare, nel Regno Unito si contano parecchi farmers’ markets, frequentati da una buona fetta di consumatori all’anno con un giro considerevole, in Germania invece, sono attivi più mercati contadini, il cui successo è dovuto specialmente alla riconoscibilità del logo riportato sulle strutture di vendita, sui pack e sui volantini promozionali.

In generale nel resto d’Europa, i mercati a filiera corta di vendita diretta, utilizzano dei criteri prioritari di identificazione quali: la minore distanza tra produzione consumo (modello km0 italiano), la dimensione ridotta delle aziende e dei volumi prodotti ed i metodi di produzione come il biologico.



L’importanza strategica della filiera corta 

La vendita diretta per un’azienda agricola rappresenta una opportunità di garanzia di reddito per accrescere o integrare quello derivante dalla produzione primaria. È un’ottima occasione per avere uno sbocco commerciale soprattutto per quelle imprese situate in aree marginali o per i piccolissimi produttori, oppure anche per chi coltiva per l’auto-consumo e periodicamente ha delle eccedenze da vendere, o invece anche per aumentare il valore aggiunto dei beni primari per coloro che attuano un’attività di trasformazione. Dal punto di vista economico, i caratteri di stagionalità e territorialità che distinguono la vendita diretta consentono decisi risparmi in termini di costi di produzione, in più la possibilità di rispettare il ciclo naturale delle stagioni, consente di limitare l’uso dell’energia necessaria, ed in più evitando lunghe filiere, avviene anche un risparmio sul trasporto e sui costi di conservazione, imballaggio e carburante.

I vantaggi per l’imprenditore agricolo oltre che sui ricavi, sono anche di contenimento dei costi di produzione, in più l’assenza di intermediazione ha un impatto determinante sul fattore prezzo, tanto che spesso i prodotti veicolati tramite canale diretto sono generalmente più convenienti per i consumatori rispetto a quelli proposti dai canali tradizionali a parità di fattori qualitativi.

Contestualmente al risparmio per i consumatori, corrisponde anche la possibilità per il produttore di ottenere una remunerazione ritenuta più adeguata a parità di fattori produttivi impiegati e di vedersi riconoscere una parte di quel valore che solitamente si disperde nei vari passaggi lungo una filiera lunga. Inoltre, in questo canale corto di commercializzazione, abitualmente è possibile garantire una trasparenza sulla formazione del prezzo che il consumatore può valutare, fattore che diventa complicato in caso di filiera con diversi intermediari.

Tra gli aspetti che possono attirare i consumatori verso la vendita diretta, vi sono anche quelli di tipo ambientale e culturale, che ormai un consumatore attento ritiene fondamentale. L’attenzione poi al prodotto a km0, consente di attribuire un’indubbia connotazione di sostenibilità ambientale alla spesa alimentare, dando quel valore aggiunto oggigiorno sempre più ricercato. Un altro contributo legato al rispetto dell’ambiente relativamente al canale della vendita diretta, è legato al packaging dei prodotti freschi e freschissimi, veduti localmente, che hanno indubbiamente un minor impatto in termini di scarti e residui collegati all’uso degli imballi; inoltre, molto spesso, questo canale commerciale a corto raggio, diventa uno strumento ideale per la diffusione dei prodotti biologici e da agricoltura integrata, ottenuti con minore uso di input chimici.

Infine, non per ordine d’importanza, un aspetto molto importante è l’ambito socioculturale di comunicazione attraverso il rapporto diretto con le aziende agricole, che diventa un’occasione per recuperare un contatto con il mondo rurale e di rapporti interpersonali ormai persi nella società moderna, veicolando la qualità dei prodotti in termini di freschezza e di genuinità, ma anche di conoscenza dei cicli stagionali e delle peculiarità colturali locali.





martedì 14 luglio 2020

E-commerce dei prodotti agricoli

L'espressione commercio elettronico, in inglese e-commerce (anche eCommerce), può indicare diversi concetti: può riferirsi all'insieme delle transazioni per la commercializzazione di beni e servizi tra produttore (offerta) e consumatore (domanda), realizzate tramite Internet, oppure nell'industria delle telecomunicazioni, si può altresì intendere il commercio elettronico come l'insieme delle applicazioni dedicate alle transazioni commerciali. Un'ulteriore definizione descrive il commercio elettronico come l'insieme della comunicazione e della gestione di attività commerciali attraverso modalità elettroniche come l'EDI (Electronic Data Interchange) e con sistemi automatizzati di raccolta (wikipedia). In pratica si tratta di una moderna forma di commercializzazione che evolvendosi nel corso del tempo, è passata da una tecnologia denominata Electronic Data Interchange (EDI, introdotta alla fine degli anni Settanta), utile per inviare documenti commerciali come ordini d'acquisto o fatture in formato elettronico, a funzioni per l'acquisto di beni e servizi attraverso il World Wide Web ricorrendo a server sicuri (caratterizzati dall'indirizzo HTTPS, un apposito protocollo che crittografa i dati sensibili dei clienti contenuti nell'ordine di acquisto allo scopo di tutelare il consumatore), con servizi di pagamento in linea, come le autorizzazioni per il pagamento con carta di credito.

Oggi giorno anche il settore agroalimentare è coinvolto a pieno regime in questa attività, infatti secondo un indagine di Coldiretti (https://www.coldiretti.it/economia/consumi-595-euro-anno-spesi-e-commerce) 2 italiani su tre (67%) hanno “visitato” un negozio on line mentre più della metà (53%) hanno acquistato un prodotto o un servizio in rete con acquisti di 1,2 miliardi di dollari nel settore del “food & personal care” che però – precisa Coldiretti – con un aumento del 15% annuo. Dato che avrà avuto sicuramente un maggior incremento nei primi mesi del 2020 causa Covid.



I prodotti

Vendere alimentari attraverso il web con un sito e-commerce, significa avviare un’attività commerciale vera e propria in aggiunta al proprio core business agricolo, pertanto questo tipo di commercio dovrà avere una gestione diversa ma collegata all’impresa agricola.

Le aziende agricole produttrici attraverso il canale dell’eCommerce avranno una possibilità in più di vendita sfruttando il nuovo canale dell’online, per esempio ottimizzando la propria produzione in loco di prodotti quali riso, frutta, verdura, vino, formaggio ed ogni altra tipologia di prodotto realizzato.

Alcune tipologie di prodotti appaiono maggiormente adattabili alle vendite online, mentre altri sono più indicati per il commercio tradizionale, anche se, negli ultimi anni con un miglioramento della logistica, anche le aziende agricole che lavorano determinati prodotti freschi e freschissimi (salumi, latticini, pesce, carne, ecc.) con una shelf life ridotta, possono sfruttare appieno questa moderna forma commerciale e arrivare in 48-72 ore in tutta Italia.



La Supply Chain agricola

L’integrazione fra produzione agricola e la supply chian se ben integrata, può generare valore aggiunto lungo la filiera dando sicurezza e affidabilità sia al produttore che al consumatore attraverso lo stretto coordinamento delle attività logistiche lungo la catena di fornitura (supply chain). Pertanto è possibile sincronizzare il flusso partendo dalle richieste del cliente fino alla consegna finale in modo da aumentare l’affidabilità e la velocità di conferimento, cercando allo stesso tempo di ridurre i costi operativi; gioca un ruolo importante anche il sistema informatico gestionale utilizzato e la relativa interfaccia web.

I numerosi benefici potenzialmente conseguibili dall’integrazione logistica lungo la supply chain risultano particolarmente rilevanti soprattutto per le imprese agricole i cui profondi cambiamenti di mercato, causati dall’evoluzione della domanda alimentare (per esempio durante il periodo di quarantena Covid) e dalla progressiva crescita della dimensione internazionale dei mercati in grado di far concorrenza anche a livello locale, impongono un ripensamento delle logiche operative e dei modelli di gestione anche informatici, pure per aziende meno strutturate e operanti sul mercato italiano. In particolare, l’evoluzione delle preferenze del consumatore ha portato ad una crescita esponenziale delle gamma e varietà dei prodotti agroalimentari disponibili, obbligando di fatto anche l’impresa agricola ad adeguarsi alle esigenze distributive attraverso un aumento della frequenza di consegna con maggiori carichi e più standardizzazione. Questa profonda evoluzione è relativamente recente, ma è destinata a crescere radicalmente, in quanto si tratta di un canale di commercializzazione e di distribuzione alimentare soprattutto per i prodotti freschi, nuovo ma molto impattante. In questo contesto gioca un ruolo fondamentale la gestione razionale della logistica lungo la supply chain, attraverso l’integrazione dei flussi fisici, informatici ed informativi e dei rapporti fra clienti e servizi logistici (vettori e corrieri); in pratica la scelta del corriere o del provider logistico con cui operare, risulta essere uno strumento fondamentale come la gestione dell’acquisto online, la gestione del magazzino e del software gestionale. L’origine delle principali difficoltà commerciali e distributive del sistema agro-alimentare e che danno luogo ad eccessive voci di costo, è, molto spesso da ricondursi alle inefficienze legate ad una inadeguata gestione dei flussi lungo la supply chain, più che agli aspetti tecnici produttivi dell’azienda agricola. Inoltre, la particolare attenzione al trasporto e alla gestione dei flussi informaci ed informativi, è giustificata non solo dal loro ruolo fondamentale di articolazione degli scambi ma, soprattutto, perché il sistema agroalimentare italiano – e in particolare il settore dei prodotti alimentari deperibili freschi – è particolarmente sensibile alla distanza fra le aree produttive e quelle di consumo, e di conseguenza è basilare porre attenzione a tutti i flussi lungo la filiera per garantire un servizio efficiente al cliente finale.







giovedì 11 giugno 2020

La pacciamatura dell’orto

Come abbiamo visto nel post precedente (https://agricolturaquattropuntozero.blogspot.com/2020/05/la-pacciamatura.html), pacciamare significa coprire il terreno attorno le piante dell’orto o del giardino, con del materiale organico (erba, paglia, foglie secche, trucioli di legno o segatura) o sintetico (teli biodegradabili o di plastica che verranno bucati in corrispondenza delle piantine), così da evitare la crescita delle malerbe, mantenendo allo stesso tempo un certo grado di umidità nel suolo e proteggendolo allo stesso modo dall'erosione e dal compattamento; esistono pertanto diversi tipi di materiali pacciamanti che possono essere classificati come organici e inorganici.


Prose coperte da pacciamatura


Materiali organici di origine naturale 

I materiali organici possono derivare dai residui colturali della precedente coltivazione, lasciati poi in superficie (chiamati anche cover crop) in modo da essere utilizzati come copertura vegetale vivente (inerbimento), oppure derivare da materiali naturali non lavorati come per esempio i residui di potatura, paglia, trucioli, corteccia, segatura, torba, pula di cereali ecc..; questo tipo di copertura viene utilizzata soprattutto per il bio-orto e l’orto sinergico.

Questo tipo di materiale organico è stabile ed esplica la sua funzione almeno fino alla stagione di crescita per una coltura annuale o più a lungo per una o più colture perenni; l’attività pacciamante dipende dalla sua composizione, ed i fattori che ne influenzano la rapidità di decomposizione sono, per esempio, il rapporto C/N, il contenuto di cellulosa e di lignina ma anche le condizioni pedoclimatiche e il tipo di microrganismi presenti nel suolo. 

L'effetto isolante della pacciamatura migliora con l'aumento dello spessore del materiale e dello strato superficiale, mentre l’età del residuo, il suo colore, l’ispessimento e la quantità, sono i fattori principali che influenzano la radiazione solare. La temperatura del suolo con i relativi effetti diminuisce con l’aumento del riflesso solare, questo fenomeno di solito è più grande nei residui luminosi come per esempio la paglia, ma diminuisce con l'invecchiamento, la decolorazione e con la sua decomposizione. 

Il vantaggio di questa tipologia di materiali essendo di natura organica, è quello di essere biodegradabile, pertanto, nel tempo, viene anche decomposta dai microrganismi presenti nel terreno, aggiungendo così sostanza organica e migliorando allo stesso tempo la tessitura e struttura del suolo.

Esistono anche materiali organici provenienti dalle trasformazioni industriali, per esempio i teli in fibra di cellulosa (carta); questo tipo di pacciamatura viene utilizzata come sostituto della plastica, anche perché la carta non richiede il recupero al termine della stagione e l'utilizzo poi di carta riciclata aiuta anche le aziende che se ne liberano, a ridurre i rifiuti solidi così come i costi energetici. Il problema di questo tipo materiale è la sua decomposizione, perché tende a decomporsi molto rapidamente e spesso non è in grado di garantire la copertura per tutta la stagione; tuttavia questo inconveniente può essere evitato trattando la carta con olio da cucina, in modo da ritardarne il suo disfacimento e migliorando allo stesso tempo il riscaldamento del terreno per l’aumentato spessore della carta nei confronti della luce solare.


Biotriturazione di rami provenienti da potatura


Materiali inorganici e film biodegradabili

I materiali inorganici possono essere naturali e non processati come ad esempio la ghiaia o la sabbia, quest’ultima utilizzata spesso negli orti per colture con foglia da taglio (esempio insalata), questo perché è facilitato lo sgrondo dell’acqua e la raccolta del prodotto. Altri materiali provenienti da trasformazione industriale sono per esempio i nastri di alluminio, le emulsioni bituminose (poco utilizzati), ma soprattutto film plastici (più utilizzati). La particolarità di questo tipo di pacciamatura è che il materiale con cui sono composti, non apporta alcuna sostanza nutritiva e humus al suolo, in più non si decompongono se non dopo una lunga esposizione agli agenti atmosferici.

I film plastici sono i più usati e i materiali di cui sono costituiti sono il poli-vinilcloruro (PVC), l’etilene-vinil-acetato (EVA) ed il poli-etilene (PE).

Tra i vari inconvenienti dell’uso dei materiali plastici per pacciamatura sono i costi di acquisto, quelli di una certa consistenza hanno costi non sempre bassi, la messa in opera, che se non viene ben eseguita non porta alcun beneficio, e infine, non per ordine d’importanza, il recupero e lo smaltimento, in particolare la rimozione spesso può essere difficoltosa per le problematiche legate alla frammentazione dei teli e alla loro dispersione sul terreno. Inoltre, i teli che vengono recuperati dal suolo devono essere trattati e smaltiti come rifiuti speciali perché spesso per la loro composizione con l’aggiunta di eventuali accumuli di antiparassitari sul materiale, rendono difficile lo smaltimento. Il problema dell’eliminazione di questo tipo di materiale, ma anche il recupero, fanno sì che la possibilità di avere pacciamanti fotodegradabili o biodegradabili possano avere maggior riscontro. 

Sul mercato esistono teli pacciamanti costituiti da biopolimeri degradabili a base di amido di mais (es. Mater-Bi® e polilattico) ed altri polimeri, quali per esempio copoliestere, poliesterammide e poliestere (PET modificato). La differenza sostanziale è il materiale, questi teloni rispetto ai polimeri convenzionali, hanno una struttura chimica e fisica differente, inoltre queste bioplastiche possono essere attaccate e degradate da microrganismi quali funghi e batteri. Il vantaggio è di conseguenza apprezzabile perché l’orticoltore si trova risolto sia il problema dello smaltimento sia il lavoro di rimozione dei teloni dalle aiuole, con notevole risparmio di tempo; inoltre, da studi recenti, sembra che i teli biodegradabili abbiano dimostrato di avere un effetto analogo al PE per quando riguarda la produzione e il controllo delle infestanti, con costi che possono essere equiparabili se si considerano la rimozione e lo smaltimento del polietilene.






martedì 26 maggio 2020

Filiera corta e innovazione

Da diversi anni il mercato agroalimentare italiano ha iniziato a comprendere l’importanza di una filiera corta e si sta evolvendo sempre di più in questa direzione ed in più zone d’Italia
I vantaggi economici e sociali di una filiera corta sono diversi: dai prezzi allo snellimento dei passaggi produttivi dal produttore al consumatore con il conseguente sviluppo delle imprese agricole, alla minore intermediazione lungo la filiera, fino ad arrivare alla maggiore liquidità a disposizione dell’agricoltore, oggi purtroppo ancora anello debole della catena.
Questo processo è indubbiamente un aspetto fondamentale per portare l’azienda agricola verso la sostenibilità, in quando è in grado se ben sfruttata, di mettere l’imprenditore agricolo nelle condizioni di sperimentare nuove dinamiche di vendita. 
Molte aziende lavorando sull’aspetto dello sviluppo e del progresso, perseguono l’obiettivo di accorciare sempre di più la filiera agroalimentare anche come modo per trovare nuovi spunti verso un consumatore sempre più esigente e attento ai propri acquisti; nascono così nuove iniziate imprenditoriali accanto alla forma tradizionale di vendita diretta, come per esempio gli agriturismi solidali, le fattorie didattiche, gli spacci aziendali, l’eCommerce ecc...

Processo virtuoso
La filiera agroalimentare è un sistema nel suo insieme molto articolato, partendo dalle materie prime, alle tecnologie, alle attività produttive, fino ad arrivare alla trasformazione e alla commercializzazione dei prodotti, che può avvenire sotto varie forme: spaccio aziendale, mercati rionali, eCommerce.
Quando si parla di filiera corta i principali prodotti di questo sistema distributivo sono articoli freschi (latticini, salumi, carne, uova, frutta e verdura, ecc.), che avendo una shelf-life ridotta per le loro natura, si prestano maggiormente ad avere meno passaggi lungo la filiera e consentono in questo modo di avere più margini per il produttore.
Solitamente più corta è la filiera più lo sviluppo delle economie locali ne trae giovamento, in quanto aziende e tessuto sociale circostante sono messe in condizione di assorbire meglio l’impatto ambientale derivante dalle varie attività di produzione, trasformazione e commercializzazione, quando non direttamente di migliorarlo, e sempre più spesso anche la biodiversità agricola ne esce rafforzata. Anche il consumatore finale trae sicuramente dei vantaggi da questo processo, perché una maggiore trasparenza e garanzia sui prodotti che sta acquistando, significa essenzialmente sapere cosa sta mangiando.

Un esempio di prodotti freschi di filiera corta


Qualità e sicurezza
Filiera corta è sinonimo di sicurezza alimentare, in quanto oltre al controllo su standard e tradizioni che per la maggior parte seguono rigidi protocolli di produzione, trasformazione e commercializzazione, vi è anche l’importanza di sapere direttamente chi è intervenuto lungo il processo dal campo alla tavola, con il valore aggiunto che oltre ad avere pochi passaggi, il prodotto se acquistato localmente, percorre pochi chilometri non aggravando il bilancio di CO2 nell’ambiente.

Qualità e sicurezza lungo la filiera

Innovazione e digitalizzazione
L’innovazione e il mondo digitale ormai sempre più d’impatto per ogni attività,  risultano essere  indispensabili per connettere (https://maurobertuzzi.jimdofree.com/attivit%C3%A0/progetto-web/) produttori e consumatori lungo questa filiera, rafforzando dinamiche spesso dimenticate o poco considerate, abbinando ad una moderna commercializzazione come l’eCommerce, la costruzione di nuovi meccanismi di fiducia tra le parti, essenziali per alimentare un mercato sempre più smart sia per la qualità del prodotto che per la sua semplicità nel reperirlo.